Italia: un caso di bioeconomia
Articolo a firma di Letizia Palmisano
La normativa italiana sui sacchi per l’asporto merci e la filiera di produzione delle bioplastiche sono oggetto di attenta osservazione in Europa e anche oltre i confini comunitari quali esempi virtuosi a cui ispirarsi nell’ottica di uno sviluppo ecosostenibile. Il professor Walter Ganapini, già presidente dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente e membro del Comitato Scientifico dell’Agenzia europea per l’ambiente, esperto di politiche ambientali, protezione del suolo e gestione dei rifiuti, ha recentemente pubblicato il saggio “Bioplastiche: un caso studio di bioeconomia in Italia” (Edizioni Ambiente), volume che dimostra come una politica pubblica possa stimolare l’innovazione di processo e di prodotto lungo tutto il ciclo di vita e testimonia la possibilità di modificare le abitudini di consumo dei cittadini e favorire l’ambiente. È un caso di successo tutto italiano, a cui ispirarsi. Quando, in Europa, si parla di Italia e di ambiente spesso si pensa alle numerose procedure di infrazione pendenti a carico del nostro Paese. Vi è, invece, un caso in cui l’Italia fa scuola: la normativa sugli shopper. Cosa ha di innovativo? Con il 14% di procedure d’infrazione in campo ambientale l’Italia è - e rimane - la “maglia nerissima” della UE. È un primato triste che la dice lunga sulla indifferenza delle classi dirigenti circa i temi della sostenibilità, della manutenzione del territorio - come ricorda il recente disastro in Sardegna - e dell’innovazione amica dell’ambiente. La normativa sugli “shopper” ha radici lontane. A partire dalla scuola di Natta sino a Gardini, la chimica italiana ha conquistato un primato nel settore della trasformazione di sostanze organiche naturali. Tale strada ha condotto alla produzione di biopolimeri con i quali è possibile dar vita, tra le altre cose, a sacchetti biodegradabili e compostabili che ottimizzano il recupero di sostanza organica per i terreni agrari, partendo dalla raccolta differenziata “porta a porta” degli scarti alimentari e verdi a livello domestico. All’interno della filiera innovativa della chimica verde stanno le “bioraffinerie” il cui approvvigionamento avviene con materie prime rinnovabili presenti nel territorio, il tutto nell’ottica di una “BioEconomia”, vero modello di un cambiamento sostanziale dello sviluppo in un’ottica di sostenibilità . Nonostante le innovazioni positive, la normativa sui bioshopper, però, ha avuto non pochi problemi in Italia e non solo... La resistenza al cambiamento è molto forte in Italia, a partire dalla burocrazia per arrivare alla ricorrente mortificazione di opportunità di ricerca, sviluppo e di innovazione produttiva. Le imprese che hanno comunque voluto rispondere alla sfida di una nuova qualità ambientale dei propri processi produttivi e dei prodotti - finanche dei territori in cui insediarsi - sui mercati globali si sono oggi unite associandosi in AssoBioPlastiche. La loro battaglia quotidiana contro queste resistenze non si è certo conclusa, ma la loro costanza è stata premiata nel momento in cui l’amministrazione centrale ha assunto il nuovo orientamento giuridico del bando degli ‘shopper’ convenzionali, alla luce dei danni da essi arrecati alla biodiversità e all’ambiente, in primis quello marino. Il nodo cruciale da sciogliere riguardava un consolidato corpo di norme comunitarie attento a non ostacolare la libera circolazione delle merci: grande è stato il lavoro fatto per arrivare a far sì che il Commissario all’ambiente Janez Potocnik approvasse l’innovazione normativa italiana, e alla fine le ragioni dell’ambiente e della sostenibilità hanno prevalso. Quali sono i benefici che discendono dalla normativa sugli shopper, tali da identificarli come un caso italiano da essere preso ad esempio? Questo caso italiano di bioeconomia mostra un’innovazione virtuosa fra il settore delle bioplastiche e lo sviluppo della filiera del compost di qualità da rifiuto municipale raccolto in modo differenziato. Le connessioni tra questi mondi hanno consentito la messa in moto di una serie di comportamenti virtuosi e di collaborazioni tra diversi interlocutori (imprese, istituzioni, enti di ricerca, associazioni di settore, società di consulenza, enti regionali), generando un tessuto connettivo ideale per promuovere il cambiamento di un modello economico, sociale e ambientale che si basa sull’uso efficiente delle risorse. Come è stata accolta la novità normativa da cittadini e commercianti? D’abitudine, in Italia, i cittadini hanno una maggiore sensibilità ambientale rispetto alle imprese e alle istituzioni. La messa al bando degli “shopper” convenzionali ha registrato un avvio difficile a causa di una reazione durissima di interessi economici legati alla produzione di sacchetti falsamente ‘biodegradabili’ e all’assenza di adeguate sanzioni che ora sono finalmente state fissate. C’era il rischio che l’Italietta della contraffazione prevalesse sull’Italia seria di chi innova a favore dell’ambiente. La confusione e la disinformazione hanno contribuito a generare seri problemi a carico della distribuzione e del commercio: ora, grazie alle prime serie ordinanze sindacali in materia e con l’avvio di controlli e sanzioni, dovrebbe andare a regime un assetto virtuoso utile al Paese. Alcuni comuni sono andati oltre, mettendo al bando in sagre e feste piatti e bicchieri di plastica lasciando, come alternative, stoviglie riutilizzabili o quelle biodegradabili. Secondo Lei sarebbe possibile e auspicabile una normativa nazionale in tal senso? Tutte le iniziative serie che orientano stili di vita e consumo verso una maggiore efficienza nell’uso di risorse “finite” vanno nella giusta direzione: è importante che, all’affermarsi di approcci giuridici innovativi, corrispondano comportamenti coerenti di istituzioni e di enti pubblici locali, a partire dalla diffusione degli “Acquisti Verdi”, a quella delle buone pratiche come la raccolta differenziata ‘porta a porta’ e il compostaggio dei rifiuti organici. L’Europa si è recentemente dato un obiettivo: ridurre entro il 2020 dell’80% le borse “usa e getta” di plastica “leggere”, lasciando agli Stati membri un ventaglio di soluzioni. Secondo Lei, il caso Italia verrà copiato in Europa? Molti Paesi membri - ma anche realtà extra-comunitarie come l’Australia, gli Stati Uniti fino ai BRICS - stanno analizzando il “caso italiano” e sperimentando o progettando strumentazioni fiscali e normative analoghe. Abbiamo aperto una strada importante verso politiche industriali e comportamenti sociali davvero orientati alla sostenibilità. Da ambientalista desidero sottolineare che il “caso italiano”, di fatto, rappresenta la concreta attuazione del “Principio di precauzione” come motore del nuovo sviluppo, proprio ora che la tremenda crisi finanziaria, ambientale ed industriale su scala globale che stiamo vivendo rischia di mettere in discussione quel principio che è fondamentale per la sopravvivenza nostra e del Pianeta, come dimostrano gli effetti del cambiamento climatico in atto.